Correva l’anno 1920. La prima grande guerra era finita da ormai due anni. In Europa entrò in vigore il Trattato di Versailles, mentre in America prese vita il proibizionismo. Molti Paesi del vecchio continente erano ancora alle prese con il primo dopoguerra e la ricostruzione postbellica. In un’Italia segnata da una «vittoria mutilata», molti decisero di andarsene e di scoprire nuovi mondi, all’epoca poco conosciuti. Proprio nel 1920 i primi battelli carichi di italiani pronti a costruirsi una nuova vita attraccarono nel porto di Melbourne, Australia. Tra di loro c’era chi, invece, era lì per continuare una dinastia, per esplorare nuovi mondi dove insediarsi: i pionieri della ‘ndrangheta australiana. Viene definita Honoured Society e da quasi 100 anni è stabilmente radicata nella terra dei canguri. Seguendo l’inchiesta de l’Espresso, qui ha fedelmente replicato metodi e business, potendo agire in tutta tranquillità in quello che, insieme al Canada, rappresenta un vero e proprio rifugio sicuro dalle leggi italiane.
È il 15 marzo 2016 quando Joseph Acquaro, detto Pino, viene assassinato con un colpo di pistola mentre si dirige alla sua macchina. Un omicidio in sé può significare molte cose, in particolar modo quando l’assassinato è un avvocato di successo residente a Melbourne e noto per aver difeso numerosi mafiosi calabro-australiani. Acquaro è stato presidente della camera di commercio italiana a Melbourne e membro del Reggio Calabria Club, oltre che un avvocato stimato dalla comunità. Le indagini sul suo omicidio sono tutt’oggi in corso, tuttavia, secondo l’Espresso, alcune tracce portano direttamente in Italia, come alcuni viaggi sospetti da Melbourne alla Calabria nei giorni successivi all’omicidio.
In ordine cronologico, Joseph Acquaro non è l’ultimo a essere stato ucciso. A fare i conti con la morte per ultimo è stato Pasquale Barbaro, detto Path, a soli 35 anni di età. Lo scorso novembre Barbaro è stato freddato, secondo i media locali, «mentre usciva dalla casa di un suo associato». Una vera e propria esecuzione. Il giornalista Keith Moor all’epoca dei fatti ipotizzò una teoria secondo cui Barbaro era diventato un informatore della polizia: «Il sospetto è che sia stato ucciso per aver violato il codice di omertà, come è successo con suo nonno nel 1990» disse il giornalista ai microfoni della radio nazionale Abc.
La capacità dei clan mafiosi presenti in Australia è quella di mutare i propri codici culturali a seconda del contesto in cui si trovano. È questo quanto spiegato da Anna Sergi, criminologa ed esperta di ‘ndrangheta internazionale. Questa trasformazione, secondo l’attuale professoressa dell’University of Essex, ha permesso ai boss di entrare in ambienti di spicco della comunità australiana, quali politici ed economici, e questo ha portato numerosi vantaggi ai clan mafiosi. Alcuni legami vennero a galla già negli anni ’80, quando Nicola Callipari si recò in Australia, uno dei primi detective a farlo, per indagare.
Il problema principale nella caccia ai boss latitanti presenti nella terra dei canguri è riconducibile soprattutto al gap legislativo che sussiste tra l’Italia e l’Australia. In parole semplici, quello che per la legge italiana viene definito latitante, per la legge australiana non sempre lo è. Il caso che rappresenta alla perfezione questa situazione è quello legato a Tony Vallelonga. Nato in Calabria e trasferitosi in Australia nel 1963, Cosimo Vallelonga, meglio conosciuto come Tony, è un personaggio molto noto: eletto per quattro volte, dal 1997 al 2005, sindaco di Stirling, sobborgo di Perth, è anche una figura molto attiva nella comunità religiosa ed è diventato un punto di riferimento della collettività italiana. Nel 2011 i pm della procura antimafia di Reggio Calabria hanno emesso un mandato di arresto per associazione mafiosa. Vallelonga continua a essere un uomo libero in Australia, nonostante le intercettazioni lo inchiodino mentre discute in Calabria con Giuseppe Commisso, detto u Mastru, circa questioni organizzative dei clan.
Oltre a quello di Tony Vallelonga, un altro caso ha creato frizioni fra le autorità italiane e quelle australiane. La questione è relativa al narcos Nicola Ciconte, condannato a 25 anni per traffico internazionale di cocaina dal tribunale di Catanzaro. Ciconte non ha scontato neanche un giorno di carcere in quanto le autorità locali non hanno mai dato il permesso all’estradizione a causa di prove non utilizzabili dai tribunali australiani, nonostante l’accusa dei magistrati calabresi fosse quella di aver importato in Australia oltre 500 chili di cocaina. Nicola Ciconte è morto qualche anno fa a seguito di una malattia contratta in Cambogia, da uomo libero.
Così come in Canada, la ‘ndrangheta si è radicata in Australia, una terra tanto lontana quanto legislativamente diversa dall’Italia. Un Paese dove tutto, o quasi, gli è concesso, mentre dal Bel paese rimbalzano mandati di arresto che difficilmente avranno giustizia. Queste sono solo alcune storie di mafia australiana, storie di una mafia sempre più globale.
Marco Razzini
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