1957, Derbyshire, Robin Cavendish giovane intermediario nel commercio del tè, di bell’aspetto, carismatico, ironico, vivace e avventuroso, durante una festa in campagna conosce Diana Mary Blacker, affascinante fanciulla della classe borghese, di disarmante bellezza, ambita dagli scapoli del posto e sempre accompagnata dai fratelli gemelli. Per Robin e Diana è subito colpo di fulmine. Prestissimo, lo stesso anno, divennero i Signori Cavendish. Dopo il matrimonio gli sposi si trasferirono in Kenia dove Robin era impegnato con la sua Compagnia e qui concepirono Jonathan. Nel dicembre 1958, a Nairobi, in una giornata soleggiata durante una partita di tennis tra amici nella loro villa coloniale Robin ebbe un malore.
Aveva 28 anni e aveva contratto la poliomielite. Subito subì la paralisi di braccia e gambe, poi quella dei polmoni a cui seguì la tracheotomia. Diana, ancora incinta, a soli 25 anni si trovò ad affrontare una situazione difficilissima: Robin voleva staccare il respiratore a cui i medici di Nairobi lo avevano relegato non essendoci altra soluzione dato il grado di gravità della sua malattia. Fu allora che Diana trovò il coraggio e la caparbietà di strappare Robin dall’abisso della solitudine e della disperazione che solo chi è travolto da una tragedia così grande sperimenta. Gli fece promettere di combattere la malattia almeno fino a poter vedere nascere suo figlio. Robin ce la fa. Mantiene la sua promessa e nel 1959 vede per la prima volta Jonathan.
La famiglia Cavendish nel 1959 tornò nel Derbyshire. Robin continuò la sua vita in ospedale, dove i “polmoni di ferro” (così si chiamava la macchina artificiale dei malati poliomielitici) respiravano per lui già da molto più tempo rispetto ai tre mesi di aspettativa di vita prospettatagli dai medici in Africa. La gioia di aver avuto Jonathan, però, era ormai lontana e di nuovo Robin cominciò a desiderare la morte. Per lui la vita aveva perso senso, colore, odore e sapore vissuta in una stanza di reparto dove l’unica colonna sonora era il rumore del suo respiratore. Diana allora, sua complice vera, compreso il suo stato emotivo ed essendo anch’ella provata da quella vita, decise di chiedere a Robin quale fosse il suo più grande desiderio. Robin senza esitazione rispose: «Portami via da qui». Il suo spirito avventuriero non lo aveva lasciato solo mai. Allora Diana propose al primario del reparto di Robin di dimetterlo, ottenendo però una risposta assolutamente negativa. Diana, non si perse d’ animo, cominciò a cercare una villetta con piano terra e giardino da comprare cosicché Robin potesse essere trasportato a casa. Con l’aiuto dei suoi amati fratelli riuscì a trovare una casa molto carina, ad un prezzo abbordabile, visti gli sviluppi economici della loro famiglia, seguiti alla tragedia di Robin, e la arredò con gusto. Dopo solo un anno di permanenza in ospedale, con l’aiuto di sua moglie Robin poté tornare a casa dove la vita, sebbene in un letto, aveva odori, sapori e rumori di felicità e famiglia, circondata dagli amici.
Nel 1962, Robin spinto dalla sua curiosità e inossidabile forza di volontà, sviluppò una geniale idea. Pensò a un sedia per malati di poliomielite munita di rotelle per andare in giro, con respiratore incorporato. Chiese aiuto al suo caro amico Teddy Hall, professore di Oxford. I due crearono il primo prototipo di sedia a rotelle con respiratore per poliomielitici. Fu una vera rivoluzione nel campo della salute, la vita di Robin divenne l’esempio di ciò che i malati di polio avrebbero potuto fare. Egli cominciò a uscire, andare a fare passeggiate sul verde dei prati e perfino a viaggiare. L’ultimo modello di sedia di Cavendish aveva una batteria del respiratore con addirittura 6 ore di autonomia. Poi i modelli furono perfezionati e dotati di campanello azionabile con piccoli movimenti del cranio per chiamare aiuto, telefono a cuffia azionabile sempre con la testa e molti altri confort pensati per Robin da Teddy.
Viaggiando grazie alla sua sedia e al suo furgone adattato a contenerla (va in Andalusia, Germania, Francia) Robin sente di doversi impegnare perché tutti i malati come lui possano godere delle gioie della vita a pieno e uscire dai loro letti per tuffarsi nella vita attiva del mondo. Così, insieme con Diana sua forza e Teddy suo braccio, inizia una campagna di raccolta fondi per creare sedie con ventilatore meccanico come la sua per i poliomielitici. Il ministero della Salute appoggiò la sua iniziativa e in poco tempo Robin divenne uno strenuo difensore dei diritti dei disabili e infaticabilmente con Diana e i suoi amici organizzarono il record di trasferimenti di malati dagli ospedali alla condizione d’indipendenza, in gergo di “responati”. Divenendo lui il più longevo responidente. Per questi meriti lo scorso novembre, Robin e Diana hanno ricevuto il “Patient Innovation Lifetime Achievement Award“.
Robin ha ispirato moltissime vite e la sua sofferenza e voglia di vivere e migliorare le sue condizioni ha migliorato la condizione di moltissimi malati. Chi lo ha frequentato racconta di lui che non aveva mai perso la sua capacità di ridere e che la vita sedentaria gli aveva regalato un punto di vista più aperto e più nitido rispetto alle persone comuni e per questo egli era una calamita per i giovani, che amavano ascoltare i suoi consigli con orecchie ben tese e cuore ben aperto. La sua compagnia è rimpianta oggi da moltissimi. L’8 Agosto 1994 dopo 36 anni di polio Robin decise di lasciare la vita e la malattia che con coraggio, forza ed esemplare altruismo aveva combattuto e vinto. Oggi la sua storia è ben rappresentata in un film intitolato “Ogni tuo Respiro” e nella testimonianza e nella vita di Diana e Jonathan, la sua straordinaria famiglia.
Gilda Angrisani
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